L'omelia del Custode nella Veglia Pasquale -
Non abbiate paura! Sento che tocca a me, ora, pronunciare queste parole. Sento che il mio compito è lo stesso di colui che si rivolse alle donne in quell’alba dell’ottavo giorno. Un giovane, dice l’evangelista Marco, vestito d’una veste bianca. Ora tocca a me, non più giovane, ma vestito come lui del colore della luce, in questa luminosissima notte, la notte più attesa dell’anno, qui all’ambone, accanto all’altare, alla pietra rovesciata.
Tocca a me dirvi: “non abbiate paura, perché colui che cercate non è qui, è risorto e vi precede in Galilea”. Sento tutto lo splendore e la responsabilità di questo messaggio. Sento il privilegio di potervelo annunciare proprio qui, dove c’è un’altra tomba, quella di Francesco, non vuota, ma anch’essa sorgente da cui si sprigiona, incontenibile, la vita in abbondanza. Questo è l’annuncio della nostra fede, la buona notizia, questo è il Vangelo! È annuncio che dona speranza e genera vita, mobilita le nostre forze, rinnova le nostre energie, rende capaci di andare al di là di ogni amarezza e rassegnazione, al di là di ogni durezza e resistenza.
Vi dico perciò: non abbiate paura! E questo non perché ve lo devo dire per mestiere e neppure perché sono un povero illuso incapace di guardare la realtà. Mi rendo conto e sono partecipe anch’io della sofferenza che attraversa i nostri paesi e le nostre città, dei lutti che hanno segnato le nostre comunità e le nostre famiglie, della drammatica incertezza sul futuro che sta pian piano corrodendo la nostra società, del bisogno di evasione che ci fa sentire imprigionati in abitudini che mai avremmo immaginato. Mi rendo conto anche di quanto male è ancora e sempre presente nel mondo e della durezza di tanti cuori, a volte del mio cuore.
Eppure ancora una volta, in questa notte santa, mi permetto di dirvi: non abbiate paura! Non abbiate paura perché il Risorto ha davvero cambiato la storia, perché dopo la sua morte la morte non è più l’ultima parola: perché ci è stata data la possibilità di vincerla nei tanti modi in cui essa si presenta. Con la sua vita ci ha raccontato che piccoli gesti risanano ferite, che parole di verità e di delicatezza fanno crescere relazioni, che mansuetudine e mitezza sono esercizi di coraggio.
Con la sua passione ci ha annunciato che rinunciare a se stessi per amore è sorgente di novità e fermento di fraternità. Con la sua morte ci ha rivelato che sono necessari passaggi per porte strette, dolorosi e indesiderabili, ma non infruttuosi. Con la sua resurrezione ci ha mostrato che c’è una speranza certa da praticare, un avvenire da coltivare, un oltre da attendere fiduciosi. Non abbiate paura: c’è lui che ci precede nelle nostre quotidiane Galilee: lì siamo chiamati a riconoscerlo, lì lo vediamo, ancora e sempre all’opera, con noi e per noi.